Il Consiglio di Stato ribadisce la “ultrattività” dei piani attuativi scaduti

D.S.

In una recente pronuncia, il Consiglio di Stato (Sez. V, 30 aprile 2009 n. 2768) si è nuovamente soffermato sul significato del principio generale contenuto nell’art. 17, primo comma, della legge n. 1150 del 1942 (per il quale, "decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso") ribadendo l’orientamento (ex plurimis, Sez. IV, 4 dicembre 2007 n. 6170, 28 luglio 2005, n. 4018, 02 giugno 2000, n. 3172T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 24 gennaio 2006, n. 508T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 27 aprile 2005, n. 638, T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 29 settembre 2004, n. 2718 e T.A.R. Campania Salerno, 07 agosto 1997, n. 488) secondo cui, fino all’approvazione di un nuovo strumento attuativo che disciplini le aree in essi incluse, deve riconoscersi efficacia “ultrattiva” ai piani attuativi scaduti.
La Quinta Sezione ha infatti osservato, con riferimento alle convenzioni di lottizzazione (correttamente assimilate ai piani particolareggiati disciplinati dalla c.d. legge urbanistica), che l’imposizione del termine di attuazione va inteso nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova convenzione di lottizzazione. Ma, fintantoché tale potere non viene esercitato, l’assetto urbanistico dell’area rimane definito nei termini di cui alla convenzione di lottizzazione o del diverso strumento attuativo. Ciò, sull’assunto che il richiamato art. 17 si ispira al principio secondo cui, mentre le previsioni del piano regolatore rientrano in una prospettiva dinamica della utilizzazione dei suoli (e determinano ciò che è consentito e ciò che è vietato nel territorio comunale sotto il profilo urbanistico ed edilizio, con la devoluzione al piano attuativo delle determinazioni sulle specifiche conformazioni delle proprietà), le previsioni dello strumento attuativo hanno carattere di tendenziale stabilità (perché specificano in dettaglio le consentite modifiche del territorio, in una prospettiva in cui l’attuazione del piano esecutivo esaurisce la fase della pianificazione, determina l’assetto definitivo della parte del territorio in considerazione e inserisce gli edifici in un contesto compiutamente definito).
Ne consegue che il termine di efficacia degli strumenti di pianificazione attuativa opera rispetto alle (eventuali) sole disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino all'eventuale approvazione di un nuovo strumento urbanistico attuativo.
La tesi sulla ultrattività in parola, ad opinione di chi scrive, è senz’altro condivisibile. Ciò,  in primis, per la esigenza di evitare che, a fronte di un programma urbanistico in parte realizzato, i nuovi interventi edilizi non si coordinino con il disegno urbanistico sino ad allora seguito, così alterandolo.