Il Servizio Idrico Integrato e la messa in discussione del modello AATO n.1 in Toscana

L.S.

Affinchè l’affidamento diretto di un servizio pubblico locale ad una società mista risulti compatibile con il diritto comunitario, è necessario non solo che la gara per la scelta del socio privato della società affidataria del servizio venga condotta nel rispetto degli artt. 43 e 49 del Trattato CE e dei principi di trasparenza e par condicio, ma altresì che i criteri di scelta del socio privato tengano conto non solo del capitale da questi conferito, ma anche delle capacità tecniche di quest’ultimo, da valutarsi in relazione alle prestazioni specifiche da fornire (così, da ultimo, Corte Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009 - causa C-196/08).

Ne deriva che, se è indifferente - ai fini del rispetto dei principi comunitari ed interni - che la scelta del socio privato e l’affidamento del servizio formino oggetto di un’unica procedura o di procedure separate, è necessario invece che la scelta del socio privato sia avvenuta preliminarmente o contestualmente all’affidamento del servizio, non essendo ammesso, ai sensi degli artt. 113 T.U.E.L. e 23-bis del d.l. 112/08, che questa sia successiva.

Né rileva, ai fini sopra indicati, l’apertura – prevista nello statuto della società affidataria - a capitali privati, in quanto questa non garantisce che il socio poi prescelto abbia i requisiti per gestire correttamente il servizio; requisiti che, invece, devono essere valutati preliminarmente o contestualmente all’affidamento stesso.

Alla luce di tali ragioni, il Tar della Toscana, con sentenza n. 441 del 2010, ha quindi annullato tutti gli atti di affidamento della gestione del servizio idrico integrato nell’area dell’AATO n.1 Toscana Nord ad una società mista, aperta ai capitali privati, la quale non aveva ancora provveduto alla data di affidamento del servizio alla scelta del proprio socio privato.

Naturalmente, gli effetti della sentenza in questione non sono ad oggi definitivi, non solo in ragione dell’appellabilità della stessa, ma altresì alla luce della normativa frattanto entrata in vigore – art. 23-bis del d.l. 112/08, convertito in legge 133/2008, recentemente modificato ad opera del d.l. 135/2009, convertito in legge 166/2009 - la quale rimette in discussione l’intero sistema delle procedure di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

In ogni caso, se le scelte future dovranno avvenire alla luce della nuova normativa, il Tar della Toscana ha fatto chiarezza sulle procedure esperibili alla luce della normativa previgente, accertando l’illegittimità del modello prescelto dall’AATO n.1 Toscana Nord per l’affidamento del servizio de quo, in quanto contrario sia ai principi nazionali che a quelli comunitari in materia.

In tema di servizi pubblici locali la corte costituzionale fa pieno uso del diritto comunitario e lima ulteriormente le possibilità di affidamento diretto

M.P.C.
Con recentissima sentenza (la n. 439 del 23 dicembre 2008) la Corte costituzionale interviene sul tema dell’affidamento dei servizi pubblici locali, finora molto controverso davanti ai giudici amministrativi ed alla Corte di giustizia.
La sentenza si segnala per due profili: a) la diretta applicazione del diritto comunitario anche in sede di giudizio di costituzionalità; b) l’ulteriore limitazione alle possibilità di affidamento diretto dei servizi pubblici locali a soggetto esterno all’amministrazione, anche nel caso di società di capitale interamente pubblico.
Il Governo aveva impugnato in via diretta una disposizione della legge provinciale di Bolzano n. 12/2007, per asserita violazione dei principi comunitari in tema di tutela della concorrenza, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e della Costituzione, nelle parti in cui si impone anche alla Provincia autonoma di Bolzano il rispetto dei vincoli comunitari.
La disposizione contestata consentiva l’affidamento diretto di servizi pubblici locali a società a capitale interamente pubblico con condizioni solo quantitative e non qualitative; inoltre, con condizioni quantitative meno restrittive di quelle stabilite dalla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia.
Il giudizio della Corte costituzionale è molto interessante, anzitutto, per l’espressa assunzione della disciplina e della giurisprudenza comunitaria quale parametro del proprio giudizio.
Atteso pacificamente – afferma la Corte – che la Provincia autonoma debba osservare i vincoli comunitari, occorre “muovere dalla ricognizione delle norme comunitarie nella specie rilevanti e dei principi affermati in materia dalla Corte di giustizia … che sono direttamente applicabili nell’ordinamento interno e che dunque assumono rilevanza agli effetti del giudizio di costituzionalità”.
La sentenza, dopo il richiamo alla normativa comunitaria ed alla vasta giurisprudenza della Corte di giustizia che ne ha trattato, conclude nel senso dell’incostituzionalità della norma provinciale sopra indicata per contrasto con il diritto comunitario applicabile, e quindi della Costituzione e dello Statuto speciale. Malgrado che nella sentenza non vi sia un’espressa ammissione che, in tal modo, si realizza compiutamente il modello di integrazione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario prefigurato dal primo comma dell’art. 117 Cost. (come modificato nel 2001, la conclusione è chiarissima in tal senso. Così, la Corte costituzionale compie un ulteriore passo comunitario, come da tempo auspicato e come lasciato presagire dalla precedente sentenza di inizio 2008 sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Nel merito della causa, è interessante notare che la Corte costituzionale limita ulteriormente i margini di affidabilità diretta a terzi dei servizi pubblici locali, anche quando il soggetto sia apparentemente poco “terzo”, perché a capitale interamente pubblico. Per la Corte, a legittimare l’affidamento non sono sufficienti criteri quantitativi, per di più limitativi rispetto alle indicazioni comunitari, occorrendo anche aspetti di natura qualitativa (ad esempio relativi alla possibile propensione dell’impresa ad effettuare investimenti anche in altri mercati).
In tal modo, per l’avvenuta saldatura completa tra diritto comunitario e diritto nazionale, divengono davvero esigui i margini per il legittimo affidamento “in house” dei servizi pubblici locali.

Le farmacie comunali esercitano un pubblico servizio cui non si applica il diritto comunitario e il diritto nazionale sui servizi pubblici locali

M.P.C.
Il TAR Napoli (Sez. V, 9.10.2008, sentenza n. 14957) ha stabilito un principio in tema di farmacie comunali e tutela della concorrenza che farà molto discutere.
Alcuni farmacisti privati avevano presentato ricorso avverso la decisione di un Comune di esercitare il diritto di prelazione per la gestione di una sede farmaceutica di nuova istituzione. Il primo motivo di ricorso stava nell’afferma violazione dei principi del Trattato CE su pubblicità, trasparenza e concorrenza.
Il TAR ha dato atto che la disciplina nazionale sui servizi pubblici locali, come necessariamente da interpretare alla luce della cospicua giurisprudenza della Corte di giustizia, non consentirebbe la procedura seguita dal Comune; dato che la società affidataria della nuova sede è partecipata maggioritariamente da socio privato.
Tuttavia, secondo il TAR, la gestione delle farmacie comunali da parte degli enti locali va collocata in un’attività gestoria in nome e per conto del Servizio sanitario nazionale, come tale esclusa dall’ambito dei servizi di interesse generale considerati dal diritto comunitario. Precisamente, sempre secondo il TAR, si tratta di esercizio di un servizio pubblico, in quanto attività rivolta a fini sociali ai sensi dell’art. 112 del d. lgs. n. 267/2000 (testo unico sugli enti locali). Come tale, estranea all’ambito di applicazione del diritto comunitario.
La conclusione appare assai dubbia, alla luce della vasta nozione di diritto comunitario sui servizi di interesse pubblico generale. Oltre a rilevare per il tema specifico delle farmacie, la sentenza porta ulteriori incertezze sul tema dei servizi pubblici locali.