Mario P. Chiti - Le riforme amministrative e l’effettività della giustizia amministrativa

1.                 Il tema della relazione è l’effettività della giustizia amministrativa all’indomani della riforma della pubblica amministrazione attivata dalla legge n. 124/2015 (la c.d. legge Madia). Farò riferimento al sistema di giustizia amministrativa risultante in specie dalla legge n. 205/2000 e, soprattutto, dal Codice del processo amministrativo (CPA) del 2010. Dopo il CPA abbiamo un lasso di tempo sufficientemente ampio da consentire un’analisi del suo effettivo funzionamento, anche in comparazione con le recenti riforme della giustizia civile. In una prossima occasione è auspicabile che si possa porre a confronto questa esperienza anche con le esperienze dei maggiori ordinamenti europei, ove si stanno tentando riforme similari; con una significativa attenzione per forme di tutela proprie della “giustizia amministrativa” anche nei Paesi di tradizione giustiziale monistica. Più avanti vi dedicherò qualche cenno.

2.                 All’analisi del tema assegnatomi premetto comunque alcune considerazioni che mi sono state sollecitate dall’introduzione generale del Prof. Cassese, come sempre stimolante.

La prima considerazione riguarda l’influenza della legislazione per il buon funzionamento della giustizia, ma anche il ruolo delle norme quale paradossale fattore di contenzioso.

A parte il diffuso fenomeno dell’“amministrare attraverso legge” – in specie ai tempi di instabilità governativa, quando il parlamento pare coamministrare con i governi – c’è un rilevante problema di qualità della legislazione che comporta gravi effetti per la tutela giurisdizionale, ovviamente anche per la giustizia civile.

Il sistema delle fonti del diritto è da tempo modificato profondamente, con una serie di atti fonti non rapportabili alle categorie principali; soprattutto, la legislazione è ipertrofica e spesso oscura.

Basti il riferimento ad un caso esemplare che si sta svolgendo in questo periodo: la faticosa approvazione in Parlamento della legge delega per il recepimento delle tre direttive UE per appalti e concessioni (nn. 23, 24 e 25/2014), a loro volta assai ampie e puntuali. Trattandosi di una legge di delega al Governo, la legge dovrebbe contenere solo principi e criteri direttivi, succintamente formulati secondo lo schema previsto dall’art. 76 Cost. Per di più, essendo materia disciplinata da ben tre direttive UE, i maggiori principi e criteri direttivi sono già previsti nelle direttive stesse; specialmente nei “considerando” iniziali. In realtà, il testo approvato in prima lettura dal Senato è composto da ben sessantadue criteri di delega (che alla Camera stanno diventando ottanta) che impegnano ben venti pagine di atti parlamentari. Taluni dei criteri riguardano poi micro-problemi, del tutto estranei al corretto modello di legge delega, come all’art. 1 il caso dei buoni pasti.

La legge delega, una volta approvata, in tal modo si porrà come fattore di complicanza per il legislatore delegato, già tenuto ad attuare oltre trecento norme comunitarie. Ne deriveranno dubbi interpretativi, inaspettati contrasti di interessi fattori di un nuovo contenzioso.

La giustizia nel suo complesso è, dunque, strettamente funzionale ad una buona legislazione.

La giustizia amministrativa, per la sua parte, è anche il portato di una buona pubblica amministrazione e del suo diritto. Non a caso nei manuali di diritto amministrativo la giustizia è usualmente trattata a conclusione, dopo i principi generali, l’organizzazione, l’attività, i mezzi, ecc. Conta in particolare il sistema di amministrazione della giustizia, definito dagli inglesi come il machinery of justice; finora invece rimasto nell’ombra, perché ritenuto non di interesse per il diritto amministrativo; come in un passato ormai fortunatamente superato non interessava ai “veri” giuristi il procedimento amministrativo; questione rilevante solo per gli operatori del diritto. Da qui lo stretto intreccio tra amministrazione e giustizia amministrativa, con le riforme della pubblica amministrazione riattivate opportunamente a tutto campo dalla legge n. 124/2015.

Un’ultima considerazione preliminare riguarda il ruolo del diritto amministrativo che, a mio parere, non può che essere allo stesso tempo “luce rossa” e “luce verde” del potere amministrativo, per usare una metafora da traffico stradale proposta anni fa da un’eminente collega inglese. Che cosa significa diritto amministrativo come “luce rossa”? Limite del potere arbitrario, verifica della legittimità del potere amministrativo, garanzia per tutti coloro che sono stati affetti da decisioni illegittime e ingiuste; componente essenziale di un effettivo Stato di diritto. Diritto amministrativo “luce verde” significa invece un diritto funzionale alla realizzazione concreta delle politiche volute dagli organi politici, strumento primario per il perseguimento degli interessi pubblici.

È nella combinazione, non facile, di questi due profili che sta l’anima del diritto amministrativo; non superabile, a meno di non trasformare il diritto amministrativo nel diritto del principe o nel diritto delle sole garanzie, paralizzante il potere amministrativo. Queste caratteristiche si rinvengono plasticamente combinate nella nostra Costituzione, ove allo stesso tempo si assicura la pienezza della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113) e la giustizia nell’amministrazione (art. 100); nonché si prevedono i principi generali della funzione e dell’azione amministrativa, suo complessivo “buon andamento” (art. 97).

3.                 Vengo finalmente al tema affidatomi: il funzionamento della giustizia amministrativa e l’effettività della tutela così assicurata; anche nella percezione internazionale, oggi di rilevante importanza in un contesto di economia globalizzata.

Leggendo ciò che il mondo pensa del nostro sistema di giustizia (per ora parliamone complessivamente, senza le interne distinzioni, per i motivi che meglio tra poco dirò) c’è da rimanere sconcertati. L’OCSE (autorevole organizzazione internazionale), la Banca Mondiale, Commissioni delle Nazioni Unite, società private che qualificano il ranking internazionale degli Stati per le varie funzioni pubbliche, sono sostanzialmente unanimi nel collocare l’Italia agli ultimi posti della graduatoria per quanto riguarda il funzionamento della giustizia. Il rapporto internazionale più “cattivo” (“Doing Business”, della Banca Mondiale), tre anni fa, ha posto l’Italia al 140° posto tra i 180 sistemi scrutinati (e non vi dico che Paesi “selvaggi” erano avanti a noi). Nell’ultimo anno, soprattutto per le varie riforme nella giustizia civile, siamo risaliti al 103° posto; bel progresso, ma che ancora ci lascia lontano dal novero dei Paesi “civilizzati”, cui pensiamo di appartenere.

Sappiamo bene che queste graduatorie, i rankings, sono opinabili; talora fuorvianti, se non addirittura sbagliati; però indicano un’indubbia percezione generale del tema trattato. Soprattutto, a toto o ragione, sono una bussola di riferimento per i players internazionali, pubblici o privati che siano. Come indica il rapporto ora citato della Banca Mondiale, questi dati indirizzano gli investitori nelle loro scelte; specie per quanto attiene ai tempi della giustizia, alle modalità di accesso alla giustizia ed al grado di prevedibilità delle sentenze.

Da qui derivano anche una serie di indicazioni e direttive politiche propinate all’Italia dal Fondo Monetario Internazionale, da altri organismi internazionali, da agenzie di rating. Il fenomeno può assumere anche carattere cogente nell’UE, specie per le misure connesse al c.d. Semestre europeo, che è divenuto veicolo per l’esercizio da parte delle istituzioni UE di un forte condizionamento tanto politico quanto anche direttamente giuridico.

4.                 Perché si arriva a questo? Le ragioni sono principalmente tre: la giustizia civile italiana è stata in effetti sino a tempi molto recenti un vero e proprio buco nero tra le funzioni pubbliche, assorbendo tutta l’attenzione; le valutazioni internazionali non tengono conto della giustizia amministrativa, concentrandosi solo sulla giustizia ordinaria (che funziona peggio di quella amministrativa); il nostro Paese non fa conoscere, tanto meno valorizzare, le riforme in via di realizzazione e le buone performance della giustizia amministrativa.

La giustizia civile non è l’oggetto della relazione, se non per taluni riferimenti che seguiranno; ma va subito sottolineato che nel recente periodo molte sono state le riforme decise e soprattutto poste concretamente in essere. Da qui il recupero, come detto, di circa quaranta posizioni nel ranking in solo biennio. Molto rimane ancora da fare, ma la via intrapresa è quella giusta; così da lasciare prevedere ulteriori miglioramenti della nostra posizione nel prossimo futuro.

La giustizia amministrativa manca invece completamente nelle valutazioni internazionali che sopra ho ricordato. Grave lacuna delle ricerche, ma in larga parte dipesa anche dalle nostre carenze di informazione verso il mondo. Ove si fosse tenuto conto dei risultati della giustizia amministrativa, specialmente dopo le due riforme chiave del 2000 (legge n. 205) e del 2010 (CPA), la risalita dell’Italia non si sarebbe fermata al 103° posto del ranking internazionale; specie considerando che larga parte del contenzioso amministrativo ha carattere economico; interesse primario di queste ricerche internazionali. Dicevo che la responsabilità è duplice: di chi ha organizzato le ricerche internazionali; nostre per non aver fatto conoscere adeguatamente la giustizia amministrativa.

Le due carenze si intrecciano strettamente. Per quanto riguarda la nostra parte, pesa negativamente la carenza di un soggetto istituzionale unitario che sia responsabile per la funzione giustizia. La giustizia civile ha una referenza istituzionale nel Ministero della Giustizia, a parte il CSM, che ogni hanno organizza statistiche e raccolte di dati. Vi sono poi circostanze in cui questi dati emergono con compiutezza, come nelle relazioni all’apertura dell’anno giudiziario e nelle periodiche relazioni del Ministro della Giustizia al Parlamento. Le maggiori riforme sono fatte conoscere al mondo esterno con traduzioni almeno in lingua inglese, alla Commissione europea viene fornita un’esaustiva panoramica sulle iniziative in corso. Per la giustizia amministrativa la situazione è assai diversa. Istituzionalmente non fa capo al Ministero della Giustizia; i legami con la Presidenza del Consiglio non includono una verifica di dati e pratiche come per la giustizia ordinaria; la relazione del Presidente del Consiglio di Stato per l’apertura dell’anno giudiziario amministrativo contiene dati utili, ma non completi né articolati per temi; il Codice del processo amministrativo non è stato sinora tradotto ufficialmente in nessuna lingua straniera.

Quindi è abbastanza spiegabile che le ricerche internazionali si sono (colpevolmente) fermate ai dati reperibili nei siti più “facili”, senza approfondire le specificità giurisdizionali e processuali dei Paesi considerati, come per l’Italia la presenza – positiva – della giustizia amministrativa. A questa “pigrizia” dei ricercatori internazionali ha fatto riscontro un comportamento di fatto autolesionistico dell’Italia, che non ha realizzato quasi nulla per far conoscere questa parte, importante, del proprio sistema di giustizia. Da accademico sono critico non solo del comportamento carente delle istituzioni, ma anche di gran parte delle iniziative (quando vi sono) delle Università: i nostri convegni sono spesso “parrocchiali”, ove si trattano anche problemi giuridici importanti, ma per lo più di natura interna; è rarissima la presenza di relatori stranieri; la comparazione è occasionale e, quando prevista, assai discutibile nella metodologia e nell’uso dei risultati. Lo stesso è stato per le ricerche; almeno sino a tempi recenti, quando, sotto la spinta potente dell’Europa, è stato inevitabile aprire l’orizzonte di riferimento.

Nel sistema della giustizia amministrativa un importante segnale positivo è stata cinque anni fa l’istituzione dell’Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa, sulla falsariga dell’ottima esperienza della Sezione Studi e Documenti del Conseil d’Etat. Pur nel breve periodo di prima esperienza l’Ufficio Studi ha avviato analitiche ricerche sull’operatività del nuovo Codice del 2010, in genere sul funzionamento del nuovo regime processuale, anche per i vari riti speciali; molti dei quali direttamente afferenti all’economia cui le ricerche internazionali danno una posizione centrale. Meritevoli di nota anche varie iniziative per incontri ed approfondimenti con gli equipollenti giudici dei maggiori ordinamenti europei.

5.                 Malgrado le positive iniziative ora richiamate, rimane nel mondo la diffusa e pervicace convinzione che in Italia la giustizia da considerare sia solo quella civile; mentre la giustizia amministrativa è del tutto ignorata o malintesa come variante di una tutela amministrativa interna al mondo della pubblica amministrazione. Occorre dunque un nuovo impegno delle istituzioni italiane per far capire la posizione ed il ruolo della giustizia amministrativa, quale componente essenziale del sistema giustizia complessivo; nonché per mettere in luce il buon funzionamento effettivo della giustizia amministrativa, specie per il contenzioso economico (proprio quello che è principalmente rilevante per le organizzazioni internazionali). Ne verrebbe sfatata una concezione presente in varie forze politiche italiane ed in una parte dei commentatori che la giustizia amministrativa ed il diritto amministrativo in generale non siano funzionali ai processi economici del nostro tempo.

La necessaria autocritica per la mancata valorizzazione delle nostre migliore esperienza non deve però portare ad una supina accettazione dell’indirizzo generale che hanno queste ricerche internazionali sulla giustizia. Infatti, gli indicatori principali prescelti riguardano, come detto, il contenzioso economico nella prospettiva della c.d. globalizzazione. Ma la giustizia non è solo contenzioso economico, bensì funzione pubblica garantita a tutti i soggetti che si sentono lesi in un proprio diritto o interesse. Occorre allora orgogliosamente porre in evidenza come una buona parte della tutela“meta-economica” sia stata in Italia tradizionalmente assicurata a tutti, con costi limitati e risultati effettivi; con il solo vero limite dell’eccessiva durata dei processi su cui tra poco tornerò. In breve, una giustizia accessibile, a costi sostenibili, amministrata da giudici di buon livello, che assicura piena garanzia del contraddittorio.

La nostra Costituzione è particolarmente ricca di principi a tale proposito, che, fortunatamente, sono divenute in grande misura realtà effettiva. E’ tra i testi cui si è ispirata la Convenzione dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In un’epoca in cui la giustizia tende a divenire una questione per persone fisiche e giuridiche abbienti, in violazione del principio di eguaglianza, queste caratteristiche del nostro sistema vanno valorizzate in un quadro generale di rivisitazione della questione (e valgono come avvertenza anche per l’attuale Governo, attratto da riforme straniere assai dubbio; esempio le riforme inglesi dell’ultimo biennio; su questo tra breve tornerò).

6.                 Nella prospettiva nazionale, vediamo adesso se le maggiori riforme della giustizia civile dell’ultimo periodo possono essere richiamate anche come modello per la giustizia amministrativa; secondo quanto molti ritengono necessario.

6.1.           Una questione di fondo riguarda il sempre maggiore rilievo delle politiche per deflazionare il contenzioso giurisdizionale; la c.d. “degiurisdizionalizzazione” (l’orrenda parola è del legislatore). Alludo, come potete ben capire, alle forme dette alternative alla giurisdizione – le ADR, per usare l’acronimo inglese più noto – che talora sono vere e proprie “alternative”, talaltra condizioni di procedibilità per l’eventuale successiva azione giurisdizionale.

Anche ammesso che nella giustizia civile le ADR abbiano un rilevante impatto (personalmente sono scettico; ma è presto per avere una posizione ragionata), non mi pare che queste azioni “alternative” siano facilmente esportabili nella giustizia amministrativa; né, prevedibilmente, che siano utili. Le vere ADR implicano infatti una situazione almeno tendenzialmente paritaria tra le parti; laddove i rapporti amministrativi sono caratterizzati dalla presenza di una pubblica amministrazione e, quasi sempre, dall’esercizio del potere pubblico. Anche nel caso di rapporti di diritto comune con la pubblica amministrazione, questa è comunque vincolata al rispetto dell’interesse pubblico cui è preposta; come tale non negoziabile.

Lasciando ai civilisti ed ai civilprocessualisti la valutazione sulle ADR nei loro settori, nel diritto amministrativo l’obbiettivo della “degiurisdizionalizzazione” potrà riguardare solo problematiche ben definite, senza assumere valenza generale; presuppone la previa realizzazione di altri strumenti di tutela non giurisdizionale, del tipo dei britannici Administrative Tribunals; soprattutto implica una pubblica amministrazione efficiente, esperta, di qualità.

6.2.           La “degiurisdizionalizzazione” nel contenzioso con la pubblica amministrazione potrà meglio porsi con strumenti diversi dalle ADR civili; principalmente con nuove forme di tutela amministrativa; certo diverse dai tradizionali ricorsi amministrativi, che non hanno dato buona prova. Questa via è indicata anche dall’Unione europea, che in nuovi campi di intervento – esemplare il caso della recente unione bancaria – ha previsto vari rimedi amministrativi, peraltro non veramente “alternativi” all’eventuale garanzia giurisdizionale, ma strumenti di prevenzione tramite decisioni “tecniche” affidate ad organismi altamente qualificati, senza una predominanza di membri giuristi.

La proposta di “riscoprire” la tutela amministrativa non è certo originale, ma sembra indubbiamente tuttora valida ancorché le molte idee non si siano per il momento coagulate su posizioni condivise e, soprattutto, praticabili. Inoltre trova nuovo supporto nell’esperienza dell’Unione europea, ove, oltre al caso appena richiamato dell’unione bancaria, stanno emergendo vari procedimenti amministrativi giustiziali (come dimostrato da una recente ricerca pubblicata nella Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico).

A mio parere, pur condividendo l’obbiettivo, non ritengo che in Italia vi siano per il momento le condizioni per un sistema funzionante di “nuovi” ricorsi amministrativi; principalmente per lo stato carente della pubblica amministrazione (si ritorna qua ad una delle considerazioni iniziali sul rapporto tra giustizia amministrativa e nell’amministrazione e carattere della pubblica amministrazione). Nell’attesa, auspicata, che le riforme amministrative diano esiti significativi, occorre massimizzare le garanzie nel procedimento amministrativo, valorizzando le già ampie opportunità offerta dalla presente disciplina e utilizzando quanto si intravede dall’attuazione della legge n. 124/2015 con i molti decreti legislativi prossimi a definirsi.

Occorre comunque tenere presente che le politiche deflattive del contenzioso giurisdizionale non devono portare a marginalizzarlo. Lo vieta, tra l’altro, l’art. 19 del Trattato Unione europea, che sancisce che la tutela giurisdizionale è indefettibile (“gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva”). Il principio vale ovviamente solo per i settori disciplinati dal diritto UE; ma indica una direzione di fondo di sicuro rilievo anche per le materie non ancora “comunitarizzate”.

6.3.           Una seconda politica deflattiva del contenzioso è consistita nell’aumento dei costi di accesso alla giustizia; dapprima per il contenzioso civile. L’innovazione ha poi coinvolto la giustizia amministrativa, facendo qua particolare danno. Infatti, i rilevanti aumenti generali sono stati ulteriormente maggiorati per il contenzioso economico – come il rito appalti – non solo per deflazionare il contenzioso, ma anche per definire al più presto i rapporti di appalto e concessione. La maggiorazione è però così gravosa da indurre molti potenziali ricorrenti ad abbandonare le proprie opportunità di tutela. L’effetto deflattivo si è dunque verificato al più presto, ma occorre chiedersi se in questo modo non si sia violato il principio costituzionale (ed europeo) della garanzia di tutela giurisdizionale dei propri diritti ed interessi, nonché quello il principio di eguaglianza.

Per tali motivi il TAR ha rimesso alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale chiedendo l’interpretazione del diritto UE degli appalti che sembrerebbe assicurare piena tutela giurisdizionale agli interessati, pur in un equilibrio con l’interesse pubblico ad una rapida definizione dei rapporti, evidente soprattutto nella fase cautelare. La Corte ha risposto in modo alquanto ambiguo: da una parte cercando di non porre troppi vincoli al Governo riformatore, perché ha considerato la questione eminentemente nazionale; dall’altra ha comunque sanzionato un uso eccessivo dei costi di giustizia dopo l’instaurazione dei ricorsi (ad esempio per quanto riguarda i costi per motivi aggiunti), legittimando la disapplicazione della normativa nazionale sul punto (come già anticipato da alcuni illuminati TAR).

6.4.           Una terza riforma della giustizia ordinaria ha riguardato la geografia delle sedi giudiziarie, razionalizzata notevolmente. Lo stesso è avvenuto poco dopo per le sedi dei TAR, però con risultati assai meno eclatanti che per i tribunali ordinari. La ragione sta qua nelle particolarità della geografia dei tribunali amministrativi rispetto a quella dei tribunali ordinari. Questi ultimi sono stati sinora articolati sul territorio secondo antiche tradizioni, molte volte superate dal corso della storia; i TAR nati solo nel 1972, regionali e quindi centralizzati per definizione, eccezionalmente articolati per sedi distaccate (peraltro previste nella stessa Costituzione, art. 125).

Sarebbe stato impossibile per la giustizia amministrativa un ulteriore squeezing delle sedi distaccate, a meno di non violare il criterio della “prossimità” tra il richiedente giustizia ed il giudice, già di regola regionale, e di non intasare fuor di misura le sedi maggiori. Vi è semmai il problema – sempre finora eluso per ragioni di eccessiva deferenza per le autonomie locali – dei due Tribunali amministrativi di Trento e Bolzano, la cui distinzione/articolazione non ha più vera ragion d’essere, bel potendo le specifiche esigenze (a partire dal bilinguismo) essere assicurate anche dal loro accorpamento. In disparte la delicata questione della loro composizione, che non pare rispettosa della Costituzione.

6.5.           Qualche considerazione, infine, sulle riforme della giustizia civile per valorizzare la specializzazione dei giudici e così migliorare la qualità della funzione; ovviamente ancora nella prospettiva della comparazione con la giustizia amministrativa.

Nel giudizio civile stanno dando una buona prova i tribunali delle imprese, composti da magistrati qualificati, selezionati attraverso una procedura che ha ben funzionato, operanti con norme processuali capaci di assicurare tempestività ed efficacia delle decisioni. Ritengo che anche nella giustizia amministrativa si debba procedere verso una maggiore specializzazione dei giudici; ma tenendo presente che già nel Consiglio di Stato ed in parte nei TAR esiste un sistema per competenza funzionale delle sezioni, che assicura buona parte delle esigenze presidiate nel giudizio civile dai tribunali delle imprese. Inoltre, come si dirà tra breve, le norme del processo amministrativo hanno specificità di rilievo per quanto riguarda il contenzioso economico ed altre materie “sensibili”.

6.6.           Il tema della specializzazione si lega strettamente a quello dei tempi della giustizia: il “male” più grave del sistema giustizia in Italia, comune tanto alla giustizia civile quanto a quella amministrativa.

Diceva nell’800 un grande giurista e politico inglese, William E. Gladstone, che “justice delayed is justice denied”. Se questo principio è inconfutabile, il caso italiano è veramente impressionate in senso negativo. Basti considerare che nella giustizia civile vi è un arretrato di oltre quattro milioni cause. In proporzione è lo stesso nella giustizia amministrativa.

Per quest’ultima, con le riforme del 2000-2010 si è cercato di sopperire a queste gravi lacune sulla durata dei processi. In particolare, il “rito appalti” è stato rimodellato in modo così rapido da mettere alla prova le capacità degli avvocati e dei giudici per la gestione delle particolari procedure. Ma l’espansione dei riti speciali anche oltre la materia dei contratti pubblici non ha certo assicurato miglioramenti nel resto del contenzioso, nei giudizi ordinari; così dando vita ad una sorta di doppia corsi fortemente differenziata. Il rischio è di giungere ad una disparità di trattamento processuale, non del tutto giustificata dall’interesse pubblico alla definizione del contenzioso economico.

6.7.           Altre innovazioni processuali più specifiche, e forse più incisive, potrebbero tentarsi al di fuori del terreno scivoloso dei riti speciali. Ad esempio, come vado sostenendo da tempo – finora senza esito – l’introduzione di un giudizio preliminare di ammissibilità/procedibilità e sulla configurabilità del fumus dei ricorsi giurisdizionali amministrativi, anche da parte di un giudice monocratico; ovviamente con idonee garanzie. Un istituto simile a quello inglese del leave che così buona prova ha dato da tempo.

La questione dell’arretrato non è comunque solo un problema di norme processuali, più o meno adeguate, ma anche di capacità di amministrare giustizia secondo elementari criteri di economicità, efficienza ed efficacia. A nessuno può infatti sfuggire come, a parità di condizioni, certi tribunali assicurino performance di qualità, ben sopra la media. Occorre dunque che le posizioni dirigenziali della giustizia siano attribuite ai più meritevoli, non solo in diritto ma anche nell’organizzazione dei propri uffici. 

7.                 Per concludere, va riconosciuto a merito degli ultimi Governi di aver riattivato incisive riforme della giustizia ordinaria; mentre quella amministrativa era stata già rivista in profondità dal 2000. Molto resta da fare, ma la strada imboccata e, nel complesso, quella corretta e risulta irreversibile.

Attenzione però a non utilizzare le riforme della giustizia civile come un parametro necessario per le corrispondenti iniziative per la giustizia amministrativa; come il caso delle ADR ben dimostra. La scelta costituzionale per confermare il doppio sistema della giurisdizione è stata confermata positiva dall’esperienza dei sei decenni successivi. In particolare, il diritto amministrativo è risultato appropriato per controllare il potere pubblico e per assicurare pienezza di tutela ai diritti ed agli interessi dei singoli; anche nel nuovo scenario del diritto europeo.

            Rimangono sullo sfondo alcune questioni di fondo, la cui soluzione non sembra prossima; anche perché in certi casi di rilevanza costituzionale. Due in particolare vanno richiamate ai fini della presente trattazione: il fondamento de riparto di giurisdizione ed ruolo della Cassazione quale giudice della giurisdizione; la funzione di nomofilachia e la prevedibilità delle decisioni giurisdizionali. Nell’area mondiale del diritto, e davanti ai fenomeni di “forumshopping”, questi fenomeni assumono carattere sensibile. Come detto, la soluzione non pare imminente; ma non sembra il caso che tali principi siano erosi dal didentro, in particolare ad opera del diritto UE, anziché come doveroso.

Bibliografia selezionata

Il tema dell’efficienza della giustizia amministrativa è trattato in una sterminata messe di studi; lo stesso, ovviamente per il versante della giustizia civile. Si citano dunque i testi direttamente utilizzati per la relazione:

OECD (OCSE), What makes civil justice effective?, 18.6.2013; European Commission, The 2015 EU Justice Scoreboard, COM(2015)116 final; V. Italia, Le specialità nelle leggi, Giuffré, Milano, 2016; Id. , Le “linee guida” nelle leggi, Giuffrè, Mlano, 2016; G. Salvi-R. Finocchi Gheri (a cura di), Amministrazione della giustizia, crescita e competitività del Paese, Astrid, Passigli, Furenze, 2012; A. Pajno,  Giustizia amministrativa e crisi economica, in Riv. it. Diri. Pubbl. com., 2013, 951; Id, Nomofilachia e giustizia amministrativa, ivi, 2014, 345; Id., I ricorsi amministrativi tradizionali: una prospettiva non tradizionale, ivi, 2015, 747; M. P. Chiti, Evoluzioni dell’economia e riassetto delle giurisdizioni, ivi, 2015, 713; Id., Il Consiglio di Stato e la giustizia amministrativa nella considerazione degli “altri”, in Il Consiglio di Stato, 180 anni di storia, Zanichelli, Bologna, 2011, 661; G.P. Cirillo, La frammentazione della funzione nomofilattica tra le corti supreme nazionali e le corti comunitarie, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2014, 23; L. De Lucia, I ricorsi amministrativi nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2013, 323; M. Ramajoli, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie pubblicistiche, in Dir. Amm., 2014, 1; Diritto amministrativo ed economia, Atti del 60° Convegno di Studi Amministrativi, ES, Napoli, 2015; G.D. Comporti, Dalla giustizia amministrativa come servizio, Studio per il Convegno “A 150 anni dall’Unificazione amministrativa, in corso di stampa.