Il dipendente pubblico esercita un’attività extra-istituzionale retribuita, ma senza autorizzazione? Non commette (necessariamente) un illecito erariale

D.S.

La Corte dei Conti (Sez. I, Giurisdizione Centrale d’Appello, sentenza del 16 settembre 2009 n. 554) si è recentemente pronunciata su un caso di danno erariale per “illecita sottrazione di energie lavorative ed intellettuali alla pubblica amministrazione a fini privati”, conseguente – secondo l’assunto della Procura Regionale appellante - all’esercizio non autorizzato di un’attività extra-istituzionale retribuita (nel caso trattato dalla Corte, di amministratore di condominio) da parte di un dipendente pubblico.
La Corte, confermando la sentenza di primo grado, ha condivisibilmente affermato che non v’è automatismo tra esercizio di un’attività extra-istituzionale non autorizzata e danno erariale, richiedendosi, ai fini della sua configurabilità, la prova di una riscontrata minore resa del servizio, con abbassamento anche qualitativo delle prestazioni lavorative (come potrebbe, ad esempio, attestare – ha aggiunto la Corte - una accertata situazione di disordine amministrativo o contabile riconducibile al funzionario).
Pertanto, l’assenza di autorizzazione non può condurre di per sé alla condanna del dipendente che svolge una simile attività.
I funzionari pubblici potranno dunque liberamente svolgere attività extra-istituzionali senza temere a questo punto di incorrere in alcuna responsabilità?
Nient’affatto. Non si è ritenuto – e, del resto, non si vede come si sarebbe potuto pervenire ad una simile conclusione, stante, tra l’altro, il chiaro dettato dell’art. 53, comma 7, del D.Lgs. 165/2001 (cd. Testo Unico sul pubblico impiego) -  che la condotta del dipendente pubblico che eserciti una siffatta attività vada esente da ogni “rischio”: ferma restando, infatti, la responsabilità disciplinare, non va dimenticato che lo svolgimento di attività senza preventiva autorizzazione comporta per il dipendente, a prescindere dalla produzione di un danno all’Amministrazione connesso ad un comportamento gravemente colposo, l’obbligo di versare all’Erario i compensi percepiti. Ma, come ha correttamente osservato la Corte dei Conti, perché possa configurarsi (altresì) un illecito erariale, occorre dimostrare che dallo svolgimento di quell’attività sia effettivamente derivato un pregiudizio economico per l’Ente di appartenenza.