Ai fini della equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo sussiste unicità processuale tra giudizio di cognizione e giudizio di ottemperanza? La Cassazione dice no

D.S.
In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo si segnala una recente - condivisibile ad opinione di chi scrive - sentenza della Corte di Cassazione, la n. 1732 del 23 gennaio 2009.
La Corte, pur evidenziano le differenze con la ricostruzione dualistica propria del processo civile di cognizione rispetto al processo esecutivo, ha chiarito che il giudizio di cognizione avanti al giudice amministrativo ed il conseguente giudizio di ottemperanza non rappresentano, ai fini della domanda di equa riparazione (proposta ex artt. 2 e 4 legge n. 89 del 2001 e 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo), fasi di un unico iter procedimentale, senza soluzione di continuità.
La definitività della decisione, che segna il dies a quo del termine semestrale di decadenza ex art. 4 l. n. 89/2001, ha aggiunto la Corte, richiamando un proprio precedente (Cass., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5212), coincide infatti con il conseguimento dell'irrevocabilità ed immodificabilità del dictum del giudice: e cioè, nell'ambito del giudizio di cognizione, con la cosa giudicata formale, ex art. 324 c.p.c..
Del resto, la contraria opinione dell'unicità processuale avrebbe l'effetto paradossale di una rimessione in termini della parte decaduta dalla domanda di equa riparazione, in ipotesi tardivamente proposta rispetto al processo di cognizione irrevocabilmente definito: onde, secondo la Corte di Cassazione, annettere continuità di svolgimento al processo di cognizione ed a quello d'esecuzione susseguente, al fine di escludere il decorso intermedio del termine preclusivo in questione, appare incompatibile con la definitività della cosa giudicata formale.
Dalla autonomia dei giudizi in parola consegue dunque che deve ritenersi inammissibile, per tardività, la domanda di indennizzo, per violazione della citata durata ragionevole, proposta dopo il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui si è definito il giudizio.