Le norme sulla giurisdizione

MARIO P. CHITI

Sommario: 1. Le questioni discusse dopo il Trattato di Nizza. 2. Le novità in tema di giurisdizione previste nel Trattato sull'Unione europea e nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. 3. Le questioni lasciate da parte. 4. Le ulteriori prospettive di riforma per la giurisdizione.

1. Le questioni discusse dopo il Trattato di Nizza

Il Trattato di Lisbona non apporta per la tematica della giurisdizione particolari novità rispetto al Trattato costituzionale del 2004, ma neanche rispetto al vigente Trattato Comunità europea (d'ora in poi, TCE). Le molte disposizioni dedicate alla giurisdizione rappresentano, in effetti, più un'evoluzione dell'attuale disciplina che una sua riforma; principalmente in ragione delle sostanziose innovazioni introdotte dal Trattato di Nizza del 2000, sia per l'organizzazione del sistema giurisdizionale europeo[1], sia per le previsioni procedurali[2].

Non va inoltre dimenticato che la Corte di giustizia - a differenza delle altre istituzioni europee, periodicamente riformate - ha sempre avuto una precisa posizione istituzionale e goduto di un indiscusso prestigio. Molte delle riforme in materia sono state promosse dalla stessa Corte, con studi e proposte conseguenti[3]. Ancora, come ben noto dopo i molti studi sul ruolo del giudice comunitario, il diritto dell'Unione europea e della Comunità è stato connotato in modo decisivo dalla giurisprudenza "creatrice" della Corte di giustizia; sì che l'evoluzione dei Trattati è un'occasione per costituzionalizzare gli esiti maggiori della giurisprudenza della Corte più che per introdurre riforme originali.

Le questioni maggiori discusse nell'attuale decennio, dopo il Trattato di Nizza, sono state principalmente quattro: l'organizzazione del giudiziario europeo; la tutela dei diritti fondamentali; l'adeguamento delle regole processuali; i rapporti con le giurisdizioni nazionali degli Stati membri[4]. Nella prospettiva di assicurare agli interessati un sistemi di rimedi e procedure "coerente e completo", secondo quanto indicato dalla Corte d giustizia sin dalla sentenza Parti Ecologiste Les Verts, 23 aprile 1986, causa 294/83.

Il giudiziario europeo è ormai un sistema articolato, assai distante dall'iniziale modello caratterizzato dalla presenza della sola Corte di giustizia. Il Tribunale di primo grado, affrancatosi dalla posizione ancillare alla Corte (secondo l'iniziale previsione del TCE, il Tribunale era organo "affiancato alla Corte"), costituisce l'organo giurisdizionale ordinario di primo grado per i ricorsi diretti proposte da persone fisiche e giuridiche. Il Tribunale ha sviluppato una sua originale giurisprudenza; talora assai discussa, come in tema di concorrenza e di lotta al terrorismo internazionale. La Corte di giustizia rimane centrale nel nuovo sistema complesso, viste le sue prerogative di giudice di appello[5], da un lato; e di giudice di unico grado[6], nella cruciale procedura di rinvio pregiudiziale e per i ricorsi presentati dalle istituzioni (art. 51 Statuto Corte)[7], dall'altro.

Ai due giudici "generali" si affianca ora un tribunale specializzato: il Tribunale della funzione pubblica dell'UE, istituito con decisione del Consiglio del 2 novembre 2004 e disciplinato con regolamento di procedura del 25 luglio 2007. Tra breve[8] è prevista l'istituzione del Tribunale del brevetto comunitario (noto anche come Camera giurisdizionale competente per il contenzioso sulla proprietà intellettuale), la cui procedura è stata avviata nel 2003 con la proposta di decisione del Consiglio per l'istituzione del Tribunale (COM 2003-828 def. 23.12.2003). Altre Camere giurisdizionali specializzate possono essere istituite con la procedura di cui all'art. 225A TCE.

Considerate queste innovazioni ed atteso che il vigente TCE non pone limiti all'istituzione di nuove Camere giurisdizionale, si discute su come elaborare un'adeguata architettura complessiva[9]. La questione è resa più acuta dalla dinamica espansiva del contenzioso (fenomeno generale delle società sviluppate, cui il diritto europeo non poteva rimanere estraneo) e dal permanere di un ampio ricorso alle procedure di rinvio pregiudiziale, anche in conseguenza dell'ampliamento dell'amministrazione diretta ed indiretta dell'UE[10].

Non sono mancate proposte per una radicale riforma dell'attuale sistema, con l'istituzione di corti "regionali" (quattro-cinque nel territorio dell'UE, per aree omogenee), con nuove regole per la legittimazione diretta dei singoli e la revisione in senso limitativo della procedura di rinvio pregiudiziale. Le corti europee "territoriali" dovrebbero assicurare, in particolare, una giustizia più "prossima" ai cittadini europei; a condizione ovviamente di una riforma anche delle regole sulla legittimazione a ricorrere. Ma è sinora prevalsa la posizione per mantenere la centralità della Corte di giustizia e valorizzare in funzione comunitaria i giudici nazionali, anziché creare nuovi giudici comunitari. Emblematica è la discussione, che si sta infecondamente trascinando da sei anni, per istituire il Tribunale del brevetto comunitario, di cui meglio si dirà più avanti.

Per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali, i molti risultati già raggiunti dalla Corte di giustizia non possono considerarsi conclusivi, né pienamente soddisfacenti[11]. Va inoltre considerata la mancata definizione (sino al Trattato di Lisbona) dello stato giuridico della Carta dei diritti, atipicamente "proclamata" a Nizza nel 2000 e da ultimo - con procedura altrettanto atipica - approvata dal Parlamento europeo e riplocamata dai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. L'intero scenario è poi negativamente condizionato dal non chiaro rapporto tra il diritto dell'UE e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo; e, di conseguenza, tra la giurisprudenza delle due Corti (di Lussemburgo e di Strasburgo).

Le norme procedurali per i giudizi davanti agli organi giurisdizionali europei non appaiono, poi, altrettanto complete come le norme processuali dei maggiori Stati membri, e risultano non del tutto in linea con le affermate esigenze di effettività della tutela giurisdizionale. Vi sono inoltre frequenti casi di contraddizione tra le statuizioni giurisprudenziali della Corte di giustizia su carenze della normativa processuale di taluni Stati membri e il vigente diritto processuale europeo. Basti ricordare il tema - che tanto ha fatto discutere negli anni recenti - della tutela cautelare ante causam, "imposta" agli Stati membri dalla Corte di giustizia; ma non conosciuta nel diritto comunitario.

Si assiste poi alla proliferazione di riti speciali[12], secondo una tendenza ben conosciuta negli Stati membri e particolarmente in Italia. Alle serie ragioni che militano per i riti speciali (celerità della procedura, esperienza dei giudici, minori costi processuali, ecc.) fanno riscontro i rischi che per la certezza del diritto e per la stessa effettività della tutela derivano da un eccesso di "specialità" dei riti; ed il paradosso di un nuovo contenzioso sull'applicazione di tali procedure.

Infine, per quanto attiene ai rapporti tra giudici europei e giudici nazionali, il problema è duplice: da un lato, l'adeguamento delle regole processuali nazionali alle esigenze dell'integrazione, attraverso la verifica dei principi di "equivalenza" ed "effettività"; dall'altro, la rivisitazione "dal basso" della procedura di rinvio pregiudiziale in paradossale crisi per troppo successo.

Nel primo senso, in base al principio continuamente ribadito dell'autonomia processuale degli Stati membri si potrebbe immaginare una pluralità di sistemi processuali nazionali, tutti egualmente eurocompatibili. l'autonomia degli Stati membri è condizionata dalla verifica dei due ricordati principi di equivalenza e di effettività; che porta a rilevanti "intrusioni" del diritto europeo[14]. Inoltre, si dilatano anche le norme comunitarie di uniformazione processuale: il caso più importante è la recente direttiva "ricorsi" (direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665 e 92/13 del Consiglio, per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici).

La procedura di rinvio pregiudiziale è da tempo discussa per il pesantissimo carico di lavoro che determina alla Corte di giustizia e per la dilatazione conseguente dei termini per la decisione. Uno dei rimedi proposti è - come meglio si dirà più avanti - la limitazione della possibilità del rinvio ai soli giudici di ultima istanza; ma con il rischio di inaridire una delle maggiori fonti di integrazione giuridica.

Il ruolo dei giudici nazionali è comunque essenziale, atteso il principio che le competenze della Corte di giustizia sono "di attribuzione"; dunque per i soli casi espressamente previsti dai Trattati. Ogni altra questione, ancorché di rilievo comunitario, deve essere esaminata dai giudici nazionali nella veste di "giudici comuni dell'ordinamento europeo". Da qui, l'essenzialità di una stretta combinazione tra i due livelli del giudiziario[14].

Ai problemi generali ora richiamati, come ad altri più "tecnici", il Trattato di Lisbona[15] non dà risposte decisive; in taluni casi neanche univoche. Ma va comunque apprezzato lo sforzo di affinamento dei testi vigenti (infatti non si modificano solo i Trattati, ma anche il Protocollo sullo statuto della Corte e il Regolamento di procedura) ed il passo ulteriore nella creazione di un modello coerente di giudiziario europeo. Più in generale, per la giurisdizione, più che per altre tematiche, vale il rilievo che il nuovo Trattato non rappresenta un punto di arrivo, ma solo una "nuova tappa nel processo di integrazione europea" (riprendendo l'incipit del Trattato UE e di altri atti costituzionali europei).

2. Le novità in tema di giurisdizione previste nel Trattato sull'Unione europea e nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

2.1. Seguendo l'impostazione binaria dei Trattati sull'Unione europea adottata dal Trattato di Lisbona, nel TUE[16] ha correttamente trovato sede (art. 9) la disposizione generale sul quadro istituzionale dell'Unione. Tra le istituzioni è ivi richiamata (paragrafo 1, comma 2) la "Corte di giustizia dell'Unione europea"; in apparenza, nel segno della continuità con il vigente Trattato istitutivo della Comunità europea (d'ora in poi, TCE), che già considerava la Corte di giustizia tra le istituzioni dell'Unione (art. 7), e con le modificazioni apportate dal Trattato di Nizza. In realtà, con una rilevante evoluzione rispetto al modello vigente (artt. 220 e seguenti TCE) e con un affinamento rispetto al Trattato costituzionale del 2004[17]; come emerge dall'art. 9F del nuovo TUE, dedicato appunto alla "Corte di giustizia dell'Unione europea".

Le altre disposizioni relative al giudiziario europeo sono state inserite nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (d'ora in poi, TFUE), che in larga parte corrisponde all'attuale TCE (ma analiticamente rivisto), e in vari Protocolli e Dichiarazioni. Come anticipato, le novità non sono particolarmente rilevanti, a differenza che per altre questioni istituzionali; ma segnano l'intera materia.

2.2. L'art. 9F TUE si riferisce - come già il Trattato costituzionale (art. ...) - alla Corte di giustizia dell'UE in senso collettivo, quale sinonimo del giudiziario europeo. Secondo il comma 1, infatti, "la Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati".

Pur apprezzando la decisione di riconoscere l'unitarietà del sistema giudiziario dell'Unione europea, evolutosi in tempi diversi e senza un disegno coerente, la formulazione dell'art. 9F merita senz'altro un affinamento. Ad iniziare dal nome dato al giudiziario nel suo insieme (come detto, Corte di giustizia dell'Unione europea) che, a meno di auspicate modifiche, sarà foriero di continue confusioni con il ruolo e le competenze della "Corte di giustizia", ovvero lo specifico organo giurisdizionale disciplinato dall'art. 220 e seguenti TCE.

Si vedano due previsioni a conferma del rischio ora detto. La prima riguarda le modifiche ai Protocolli allegati ai vigenti Trattati, tra cui in particolare il Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia, secondo cui in una serie di articoli ivi indicati il termine "Corte" è sostituito da "Corte di giustizia", ed in altri articoli rimane invariato. La differenza terminologica così stabilita è in molti casi palesemente senza motivo, e dunque fonte di incertezze di diritto in una materia sensibile come la giurisdizione e la disciplina processuale. La seconda previsione è quella del comma 3 dell'art. 9F TUE, sulle competenze della "Corte di giustizia dell'UE" - ovvero di tutto il sistema giudiziario europeo - tra le quali le pronunce in via pregiudiziale sulle richieste delle giurisdizioni nazionali tramite la procedura di rinvio pregiudiziale. Competenza cruciale per l'integrazione europea, che finora è - di regola[18] - riservata allo specifico organo "Corte di giustizia" e che non sembra da nessun altro indicatore essere stata affidata genericamente a tutti i giudici dell'UE, come letteralmente lascerebbe intendere la disposizione in esame.

Di notevole importanza è il disposto del comma 2° del primo paragrafo, secondo cui "gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione". La previsione - già contemplata nel Trattato costituzionale - dà specifica sostanza nel campo dei rimedi giurisdizionali al principio generale di cooperazione degli Stati membri, di cui all'art. 10 del TCE. Si tratta della "costituzionalizzazione" di un principio elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, ma che con la formulazione ora adottata offre una precisa base giuridica al potere delle istituzioni europee di verificare l'adeguatezza delle discipline nazionali. Per i diritti nazionali che ancora non avessero sviluppato il principio dell'effettività della tutela (per l'Italia è rilevante, in particolare, la novella all'art. 111 Cost. in tema di giusto processo), si pone l'impegno alle necessarie riforme con una valenza che ovviamente va al di là dei settori disciplinati dal diritto dell'Unione, confermandosi così la vis espansiva dei principi europei.

Più in generale, dalla disposizione in esame discende il riconoscimento generale della "tutela europea" sui diritti processuali nazionali; finora affermata solo in particolari circostanze ed oggetto di viva discussione, attesa la contraddizione del droit de regard[19] comunitario sui diritti nazionali rispetto all'affermato principio dell'autonomia procedurale e processuale degli Stati membri.

L'art. 9F TUE stabilisce anche i criteri generali sulla composizione della Corte di giustizia e del Tribunale, che forse avrebbero trovato più appropriata collocazione nel Trattato sul funzionamento dell'Unione, vista la puntualità della previsione. Nei lavori della CIG è comunque prevalsa la tesi di inserire il paragrafo 2 nell'art. 9F, in quanto contribuisce a definire l'equilibrio delle istituzioni ed la "caratura" degli Stati membri (in effetti, vi si prevede il numero dei giudici e la ripartizione per Stato membro).

La previsione va letta anche in riferimento alla Dichiarazione n. 38, allegata all'Atto finale della Conferenza intergovernativa, che prevede la possibilità per il Consiglio, su richiesta della Corte di giustizia, di decidere all'unanimità l'aumento del numero degli avvocati generali di tre unità. In tal caso, si prevede che la Polonia disponga permanentemente di uno degli avvocati generali, superando il criterio della rotazione. Quest'ultimo riguarderà però cinque avvocati generali; oggi tre.

2.3. Passando all'esame del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE), si può constatare che pressoché tutte le disposizioni della Sezione IV della Parte V dell'attuale TCE sono state modificate; ed in certi casi abrogate o sostituite.

Le innovazioni sono di tipo "incrementale", come si addice alla materia della giurisdizione e delle garanzie; e viste anche le molte riforme previste dal Trattato di Nizza. Merita segnalare la continuità di questa parte del nuovo TUE con quanto previsto nel Trattato costituzionale del 2004, che pur tuttavia è stato in vari punti affinato secondo gli auspici dei commentatori.

2.3.1. Le maggiori novità riguardano i criteri per la nomina dei giudici e degli avvocati generali, le procedure per l'istituzione di altri tribunali specializzati, le regole procedurali.

Per quanto riguarda la nomina dei giudici e degli avvocati generali, sinora era sufficiente che le persone designate dai rispettivi Stati membri, poi nominate di comune accordo tra gli stessi, rispondessero ai requisiti generali previsti dagli artt. 223 e 224 TCE. Adesso, fermi tali requisiti generali (cfr. art. 9F TUE), in base all'art. 224 bis TFUE è istituito un comitato con l'incarico di fornire un parere sull'adeguatezza dei candidati, prima che i governi degli Stati membri procedano alla nomina. Il comitato è composto da sette personalità, scelte tra ex membri della Corte e del Tribunale, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali[20] e giuristi di notoria competenza, uno dei quali proposto dal Parlamento europeo. Il comitato delibera su iniziativa del presidente della Corte di giustizia. E' evidente l'intento di assicurare un'elevata qualificazione dei membri del giudiziario europeo, normalmente sinora assicurata dalle designazioni nazionali; ma con qualche eccezione di giuristi fortemente "politici". La procedura accentua poi la "comunitarizzazione" della selezione dei giudici.

2.3.4. Per l'eventuale istituzione di nuovi tribunali specializzati, va anzitutto sottolineato che il TFUE - in linea con quanto già previsto dal Trattato di Nizza - non stabilisce limiti alla loro proliferazione. Il punto merita una riflessione, atteso che con l'eventuale proliferazione di nuovi organismi giurisdizionali (uno già istituito, il Tribunale della Funzione pubblica) risulterebbe concreta la possibilità di rottura dell'originaria impostazione del giudiziario europeo, accentrato nella Corte di giustizia, e scalfita solo in parte dall'istituzione del Tribunale di primo grado (ora "il Tribunale"). Come dimostrano le esperienze nazionali segnate da una pluralità di giurisdizioni speciali o specializzate, accanto ai benefici di un rito ad hoc e di giudici particolarmente esperti, incombe il rischio di una giustizia frammentata e segnata da discipline processuali che non assicurano certezza del diritto e piena garanzia di difesa.

La procedura per l'istituzione di questi tribunali specializzati, prevista dalla novella all'attuale 225A TCE, è quella legislativa ordinaria con delibera - mediante regolamenti - del Parlamento europeo e del Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte; o su richiesta di questa, previa consultazione della Commissione. Meritevole di nota rispetto al Trattato costituzionale è il maggior ruolo assicurato al Parlamento europeo e il potere di "richiesta legislativa" della Corte di giustizia.

2.3.5. Le competenze della Corte sono ampliate al controllo di legittimità sugli atti degli organi od organismi dell'Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi (cfr. l'aggiunta di un'ultima frase al primo comma dell'art. 230 del vigente TCE, e di un nuovo quinto comma allo stesso). La previsione - già contemplata dal Trattato costituzionale - è quanto mai opportuna considerata l'espansione degli organismi dell'Unione (quali le agenzie europee ed i vari soggetti dotati di propria personalità) con diretta incidenza nei confronti dei terzi; e l'incertezza che finora aveva caratterizzato la questione per carenza di chiare indicazioni normative, a scapito del principio di tutela giurisdizionale e, più in generale, del principio dello Stato di diritto.

Si conferma altresì, rispondendo alle diffuse proposte per la valorizzazione degli organi ausiliari del Parlamento europeo, la previsione sulla legittimazione del Comitato delle regioni a ricorrere alla Corte di giustizia per la salvaguardia delle proprie prerogative, analogamente a quanto già oggi riconosciuto per la Corte dei conti e la Banca centrale europea. L'innovazione è indice del cammino del Comitato delle regioni verso una posizione di organo costituzionale, e non solo di organo a rilevanza costituzionale.

2.3.6. Si riprende poi l'importante previsione già contemplata nel Trattato costituzionale sulla legittimazione delle persone fisiche e giuridiche a ricorrere anche contro gli atti regolamentari che le riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura di esecuzione. Ne scaturirà il superamento di uno dei maggiori limiti dell'attuale disciplina in riferimento alla tutela dei singoli, specialmente considerando la restrittiva giurisprudenza della Corte di giustizia sull'interpretazione dell'art. 230 TCE; in evidente contrasto, merita rilevare, con le affermazioni generali sulla piena garanzia dei diritti fondamentali, e del diritto di difesa in particolare (predicate dunque dalla Corte per gli Stati membri, ma non applicate appieno all'Unione[21]).

La questione della legittimazione diretta ha fatto molto discutere, dato che dall'ampliamento delle possibilità di ricorso diretto può scaturire un aumento del contenzioso, tale da scardinare il sistema giurisdizionale europeo. La soluzione individuata con i due più recenti Trattati è senz'altro equilibrata e quindi da condividere; ma un esito definitivo scaturirà solo dalla valorizzazione dei giudici nazionali in funzione comunitaria.

2.3.7. Circa le competenze "costituzionali" della Corte di giustizia, il nuovo art. 235 bis TFUE stabilisce che la Corte è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto adottato dal Consiglio europeo o dal Consiglio a norma dell'art. 7 TUE "unicamente su domanda dello Stato membro oggetto di una constatazione del Consiglio europeo o del Consiglio e per quanto concerne il rispetto delle sole prescrizioni di carattere procedurale previste dal suddetto articolo. La domanda deve essere formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta constatazione. La Corte statuisce entro il termine di un mese a decorrere dalla data della domanda".

2.3.8. Infine, tra le novità maggiori è da segnalare la norma (art. 240 bis) che esclude la competenza della "Corte di giustizia dell'UE" (qua da intendere come l'insieme dei giudici europei) in riferimento alle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, ed agli atti adottati in base a dette disposizioni. Tuttavia, l'esclusione ha una vistosa falla - foriera di ulteriori ampliamenti nel futuro - in riferimento al rispetto dell'art. 25 ter TUE (attribuzioni delle istituzioni e relative procedure di cui agli articola da 2B a 2E del TFUE[22]) e sui ricorsi, proposti ai sensi dell'art. 230, c. 4, del TFUE, riguardanti il controllo della legittimità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al Titolo V, capo 2, del TUE.

Similmente, per l'art. 240 ter è esclusa la competenza dei giudici europei in tema di "spazio di libertà, sicurezza e giustizia", quando si contesti "la validità o la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno Stato membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna". La previsione è superflua, dato che corrisponde allo stato attuale del diritto europeo; e, per il suo valore primario, irrigidisce un tema in piena evoluzione.

2.4. Di particolare importanza il Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, che, come già nel Trattato costituzionale, prevede (art. 8) che la Corte di giustizia dell'Unione europea (rectius, seguendo la nuova terminologia, dovrebbe dirsi "la Corte di giustizia") è competente a pronunciarsi sui ricorsi per violazione, mediante un atto legislativo, del principio di sussidiarietà proposti secondo le modalità previste all'art. 230 del TFUE da uno Stato membro, o trasmessi da quest'ultimo, in conformità con il rispettivo ordinamento giuridico interno a nome del suo parlamento nazionale o di una camera parlamentare. La stessa legittimazione è prevista per il Comitato delle regioni relativamente agli atti legislativi per l'adozione dei quali il TFUE richiede la sua consultazione.

Si costituzionalizza così che il principio di sussidiarietà ha un preciso valore giuridico ed è pertanto giustiziabile, secondo quanto auspicato dalla maggioranza degli studiosi ed anticipato da qualche caso giudiziario[23].

2.5. Di carattere più tecnico sono le modifiche allo Statuto della Corte di giustizia dell'UE, ma egualmente rilevanti per il completamento del nuovo regime complessivo del giudiziario europeo.

Oltre alle modifiche grammaticali necessarie per adeguare il testo alla nuova terminologia (peraltro, come detto, non convincenti per la confusione tra il complessivo giudiziario europeo e lo specifico organo Corte di giustizia), merita segnalare il riconoscimento del diritto ad intervenire in giudizio per "gli organi e gli organismi dell'Unione e per ogni altra persona che possa dimostrare di avere un interesse alla soluzione della controversia sottoposta alla Corte" (art. 40, c. 2, Statuto novellato). A tale più ampio diritto di intervento rimangono escluse per le persone fisiche o giuridiche "le cause tra Stati membri, fra istituzioni dell'Unione, o fra Stati membri da una parte e istituzioni dell'Unione dall'altra" (art. 40, c. 2, cit.). Si tratta di un limite che l'esperienza ha dimostrate significativamente pregiudizievole per gli interessi delle persone fisiche e giuridiche (specie queste ultime). Basti pensare al caso delle procedure di infrazione proposte dalla Commissione, ove i privati possono risultare coinvolti in modo vitale per i propri interessi e, ove fosse riconosciuto il diritto di intervento, la loro difesa potrebbe contribuire alla migliore soluzione della questione controversia; anzitutto nell'interesse generale della giustizia. Si constata qua il permanere di un'impostazione internazionalistica del contenzioso, che non corrisponde sin dagli anni sessanta del secolo passato all'impostazione data dalla Corte di giustizia al sistema comunitario, in specie per il ruolo dei singoli come soggetti dell'ordinamento comunitario.

Lo Statuto può essere modificato dal Parlamento europeo e dal Consiglio che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, ad eccezione del Titolo I e dell'art. 64. L'iniziativa può essere della Corte di giustizia o della Commissione; la conseguente decisione può avvenire previa consultazione dell'organo che non ha assunto l'iniziativa. Nel complesso, la procedura risulta semplificata rispetto al Trattato di Nizza (cfr. la Dichiarazione relativa all'art. 225TCE), ma rimane la curiosità della doppia competenza per l'avvio della riforma, priva di percettibili motivazioni.

3. Le questioni lasciate da parte

Rimane inalterata la disciplina della procedura di rinvio pregiudiziale prevista dal Trattato di Nizza, principalmente in conseguenza delle risultanze del dibattito sul modo di eseguire la novella all'art. 225 TCE, che rompeva il monopolio della Corte di giustizia per le questioni pregiudiziali[24]. Come si ricorderà, l'art. 225 TCE prevede che anche il Tribunale di primo grado abbia competenza a conoscere le questioni pregiudiziali, ma solo "in materie specifiche determinate dallo Statuto" (c. 3)[25].

La delicatezza dell'individuazione di tali materie, unita ad una diffusa posizione critica sulla rottura dell'esclusività delle competenze della Corte su tale problema, ha fatto sì che non si sia ancora provveduto alla riforma dello Statuto. Il silenzio del Trattato di Lisbona su questo punto è espressiva quanto meno dell'inattualità della riforma. Fortunatamente non ha avuto neanche eco la proposta di limitare la possibilità del rinvio pregiudiziale alle sole giurisdizioni superiori[26], che avrebbe rischiato di inaridire una delle procedure vitali per il processo giuridico di integrazione; solo che si ricordi quanti "casi celebri" sono stati attivati da giudici di primo grado, anche in Italia. E come, per converso, le giurisdizioni superiori abbiano fatto un uso assai discutibile dei lori poteri/obblighi di rinvio.

L'unica innovazione alla disciplina di questa procedura è rappresentata dal rito speciale accelerato previsto dal novellato art. 234 TFUE, per i casi in cui una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti ad un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione. La previsione rafforza un'analoga indicazione del Trattato costituzionale (art. III-369), ma la data la particolarità del caso cui unicamente potrà applicarsi non risponde alla più ampia esigenza richiesta dalla Corte[27].

Un secondo tema senza rilevanti sviluppi è quello del ruolo degli avvocati generali, che dopo il Trattato di Nizza è stato ridotto (o, meglio, selezionato) in quanto il loro intervento non è più necessario in tutti i giudizi davanti alla Corte (art. 222 TCE e art. 20 Statuto). Anche con il Trattato di Lisbona il numero degli avvocati generali rimane assai basso rispetto alla dimensione del contenzioso, e con una sostanziale riduzione connessa all'ampliamento del numero degli Stati membri e delle questioni che ne derivano. Quanto previsto nella Dichiarazione n. 38 allegato all'Atto finale appare solo un palliativo non sostanziale.

Nel complesso, i giudici dell'UE mantengono uno status ibrido, tipico dell'impostazione iniziale del processo di integrazione, per una parte espressivo della loro posizione quali organi dell'Unione; per altra parte, specie in riferimento alla Corte, quale centro di un sistema giudiziario europeo. Pur apprezzando le proposte per una più forte configurazione unitaria con i sistemi giudiziari nazionali, va constatato che non sussistono, allo stato, le condizioni politiche per tale sviluppo[28].

Merita infine rilevare che non è stata data rilevanza al tema delle forme alternative di tutela, solitamente richiamate con l'acronimo inglese ADR (Alternative Dispute Resolutions); né si è rafforzato il ruolo del Mediatore europeo.

Per le ADR si è di fronte ad un riscontro continentale della loro crisi; o, nell'ottica italiana, del loro mai compiuto sviluppo. Ne è conferma espressa la recentissima direttiva "ricorsi" (direttiva 2007/66, cit.) che lascia cadere i principali istituti per la prevenzione del contenzioso e per la risoluzione pregiudiziale delle controversie, contenute nella prima direttiva ricorsi del 1989 che molto interesse avevano destato in dottrina[29].

Per il Mediatore europeo, poi, a distanza di un decennio circa dalla sua istituzione emerge una sua posizione istituzionalmente "minore" e defilata rispetto al corso principale delle controversie. Le pur lodevoli iniziative per definire la nozione di "buona amministrazione" e per tutelare nuovi diritti e fasce deboli della popolazione europea non hanno avuto riscontri significativi[30]30.

  1. Le ulteriori prospettive di riforma per la giurisdizione

L'esame compiuto delle disposizioni del Trattato di Lisbona dedicate alla

giurisdizione conferma che si è di fronte ad un'evoluzione della vigente disciplina, senza strappi né incoerenze.

La scelta compiuta - più dalla Convenzione del 2003 che dalla Conferenza intergovernativa dell'anno passato, che sul tema ha sostanzialmente ripreso il Trattato costituzionale - è senz'altro condivisibile, a fronte di un'esperienza di grande successo quale quella della Corte di giustizia e, di recente, del Tribunale di primo grado. Certamente molto rimane da fare, su due temi principali che già allo stato attuale di evoluzione del diritto europeo possono trovare nuova attenzione: una sempre maggiore sistematicità e coerenza del giudiziario europeo; una piena integrazione con i giudici nazionali. La prospettiva di lungo periodo non deve prevedere l'esaltazione del giudice comunitario quale diretto garante del diritti dei singoli, ruolo che spetta ai giudici nazionali operanti quali giudici comuni del sistema integrato; bensì assicurare al Tribunale il ruolo di giurisdizione ordinaria sugli atti dell'UE ed alla Corte di giustizia quello di corte costituzionale europea e garante principale dell'Unione quale Unione di diritto.

1 Nel presente Capitolo, trattando delle questioni giuridiche dell'integrazione europea, si userà per semplicità espositiva l'aggettivo "europeo"; comunque avvertendo che l'uso non è tecnicamente corretto dato che, allo stato dell'evoluzione del diritto comunitario (e prescindendo dal rilievo sempre maggiore del diritto del Consiglio d'Europa), si dovrebbe precisare se si tratta di questione "comunitaria" o "dell'Unione europea". Ed in futuro, ove entri in vigore il Trattato di Lisbona, si dovrà usare unicamente l'aggettivazione "dell'Unione europea" in quanto l'UE sostituisce e succede alla CE.

2 Per commenti sul Trattato di Nizza, cfr. A. Johnston, Judicial Reform and the Treaty of Nice, in C.M.L.R., 2001, 499 segg.; A. Dashwood-A. Johnston (a cura di), The Future of the European Judicial System. Oxford, 2001; R. Mastroianni, Il Trattato di Nizza ed il riparto di competenze tra istituzioni giudiziarie europee, in Dir. UE, 2001, 769 segg.; F. Salerno, Giurisdizione comunitaria e certezza del diritto dopo il Trattato di Nizza, in Riv. Dir. Int., 2002, 5 segg..

3 Di particolare rilievo nel procedimento di elaborazione del Trattato di Nizza è risultato il Documento di riflessione della Corte e del Tribunale, del 10 maggio 1999. Più di recente, i vari documenti richiamati da K. Lenaerts, The Rule of Law and the Coherence of the Judicial System of the EU, in C.M.L.R., 2007, 1625 segg.

4 Per un ampio panorama di insieme: K. Lenaerts, The Rule of Law and the Coherence of the Judicial System of the EU, cit., 1625, spec. 1645 segg.

5 Addirittura di terzo grado nel caso di cui all'art. 229A TCE (contenzioso sui titoli comunitari di proprietà industriale).

6 Salvo il caso, per ora non attuato, previsto dall'art. 225, c. 3, TCE.

7 La differenza nel ruolo della Corte e del Tribunale è efficacemente sottolineata da K. Lenaerts, The Rule of Law, cit., 1652: il Tribunale preposto al judicial review, la Corte "having the last word in speaking the law in the EU legal order".

8 La previsione è discussa (cfr. l'editoriale "Patent Failure ?", in C.M.L.R., 2007, 293, a commento della Comunicazione della Commissione "Enhancing the Patent System in Europe" (COM - 2007, 165 def. 3.4.2003).

9 Per una ricostruzione in tale prospettiva del sistema previsto dal Trattato di Nizza, cfr. M.P. Chiti, .............. Cfr. anche N. Komarek, Federal Elements in the Community Judicial System: Building Coherence in the Community Legal Order, in C.M.L.R., 2005, 9.

10 Cfr. M.P. Chiti, L'organizzazione amministrativa comunitaria, in M.P. Chiti-G. Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Vol. I, Milano, 2007, 415 segg.

11 Per un esame delle questioni ancora aperte e le prospettive scaturenti dal nuovo Trattato, cfr. M.P. Chiti, L'Unione europea come comunità dei diritti, in corso di pubblicazione nel volume L'Unione europea nel XXI° secolo, a cura di S. Micossi, Bologna, 2008.

12 Vari casi sono analizzati da Barbier de la Serre, Accelerated and expedited Procedures before the EC Courts: a Review of the practice,in C.M.L.R., 2006, 783 segg.

13 M. P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, 584 segg.

14 Richiama l'attenzione su questo punto K. Lenaerts, The Rule of Law and the Coherence of the Judicial system of the EU, cit., 1625.

15 Ma anche il Trattato costituzionale del 2004, come rilevato nel mio commento Le norme sulla giurisdizione, in F. Bassanini-G. Tiberi (a cura di), Una Costituzione per l'Europa, Bologna, il Mulino, 137 segg.

16 Si intende, da qui in poi, il TUE come modificato dal Trattato di Lisbona formato il quella città il 13 dicembre 2007.

17 Per Trattato costituzionale si intende, in forma semplificata, il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, ratificato dall'Italia (con legge 7 aprile 2005, n. 57) e da altri 18 Stati membri, ma poi abbandonato per le note ragioni. Per queste vicende, J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, Il Mulino, 2007.

18 L'eccezione prevista dall'art. 225, c. 3, TCE è rimasta sinora sulla carta, come successivamente meglio si dirà.

19 L'espressione è di A. Tizzano.

20 Per l'Italia, tali organi sono la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato. La Corte costituzionale è infatti organo giurisdizionale con particolari competenze, incentrate sul controllo di costituzionalità, estranea al sistema giurisdizionale. Tale peculiarità è stata sinora la motivazione della decisione della Corte costituzionale (ad eccezione di un caso isolato) di non considerarsi tenuta alla procedura di rinvio pregiudiziale; ma le due questioni sono diverse e, per quanto attiene al rinvio pregiudiziale, anche la Corte costituzionale è da ritenersi tenuta al rispetto dell'art. 234 TCE, al sussistere delle condizioni ivi indicate. Una recentissima ordinanza della Corte costituzionale in corso di pubblicazione sembra avere rimesso alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale, con una specifica motivazione sul revirement rispetto alla precedente posizione. Il punto - di grande rilievo teorico e pratico - merita adeguata analisi in una prossima occasione.

21 È noto che il vigente regime processuale della CE non assicura tutti gli istituti che mediamente sono propri delle discipline nazionali, ed in particolare dell'Italia. Malgrado ciò, la Corte esige dagli Stati membri regole e comportamenti processuali di segno anche difforme dalla propria tradizione, quando sono in gioco questioni di rilievo comunitario; comprese innovazioni che non sono vigenti nel diritto della CE. La questione generale dell'influenza europea sul diritto processuale degli Stati membri è analizzata da N. Trocker, "Civil Law" e "Common Law" nella formazione del diritto processuale europeo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2007, 421. Per un problema di notevole importanza per il diritto amministrativo, M.P. Chiti, Le peculiarità dell'invalidità degli atti amministrativi per anticomunitarietà, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, n. 2, in stampa.

22 Si tratta di una delle più oscure previsioni dei nuovi Trattati, sia per l'infelice "combinato disposto" che le vaghezza della formulazione normativa. Pur ritenendo che la norma sia stata volutamente così configurata per consentire alla Corte un'applicazione potenzialmente estensiva, va auspicata una sua immediata delimitazione anche con strumenti diversi dalla revisione dei trattati.

23 P. Craig, European Administrative Law, Oxford, 2006, 419 segg.

24 Per un'analisi delle varie questioni coinvolte, cfr. G. Gaja, The growing Variety of Procedures concernig Preliminary Rulings, in D. O' Keeffe-A. Bavastro (eds.), Judicial Review in EU, The Hague-London-Boston, 2000, 143 segg.

25 Con l'ulteriore cautela che, ove il Tribunale ritenga che la causa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere l'unità e la coerenza del diritto comunitario, rimette la questione alla Corte (cfr. secondo paragrafo del comma 3, citato).

26 Le giuste rimostranze espresse dall'Avvocato generale Jacobs nelle conclusioni per la causa C-338/95, Wiener, per doversi occupare di vere e proprie bagattelle, possono trovare altre e più semplici soluzioni attraverso accorgimenti organizzativi (come la realizzazione di filtri sulle procedure) da parte della stessa Corte. Per un'ampia analisi della questione, ancorché con conclusioni non convincenti: J. Komarek, In the Court(s) we trust? On the Need for Hierarchy and Differentiation in the Preliminary Ruling Procedure, in ..............

27 Sulla scorta anche di cause esemplari (negativamente) per gli interessi dei singoli e per la buona amministrazione della giustizia, come il caso Pupino (C-105/03). E' però vero che la Corte non utilizza al meglio le opportunità che a tal fine sono già assicurate dalle vigente regole di procedura, come l'art. 104°.

28 Un'interessante riflessione generale sul prossimo ruolo della Corte di giustizia quale giudice che dà giustizia "in nome dei cittadini dell'UE", in S. Wernicke, Au nom de qui? The European Court of Justice between Member States, Civil Society and Union Citizens, in Eur. Law Journal, 2007, 380 segg.

29 Cfr. G. Greco, Nuove prospettive per la risoluzione delle controversie con le pubbliche amministrazioni, in Consiglio di Stato, Sovranazionalità europea: posizioni soggettive e normazione, Torino, 2000, 101 segg.; M.P. Chiti, Le forme di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione, ivi, 75 segg.

30 Una posizione scettica era già stata espressa da M.P. Chiti, Il Mediatore europeo e la buona amministrazione comunitaria, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2000, 303. Da ultimo, visioni più ottimistiche - ma essenzialmente speranzose, più che giuridicamente fondate - in P. Bonnor, Ombudsman and the Development of Public Law, in Eur. Public Law, 2003, 237; A. Tsadiras, The position of the European Ombudsman in the Community system of judicial remedies, in Eur. Law Review, 2007, 607.