La demolizione delle opere abusive non può avvenire in pendenza del procedimento di sanatoria

M.M.

Con la sentenza n. 782 del 7 maggio 2009 il T.A.R. Toscana ha confermato il principio in oggetto, contribuendo a renderlo ormai di pacifica applicazione.
Nella fattispecie in esame, la Società titolare del permesso di costruire ha avanzato istanza di sanatoria relativamente a talune opere eseguite in parziale difformità con il titolo edilizio; nelle more della definizione della sanatoria, tuttavia, il Comune ha intimato alla Società la demolizione delle opere ritenute abusive.
Da qui, l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio-demolitorio, denunciata dalla ricorrente e affermata dal T.A.R. toscano, in quanto l’intimazione a demolire le opere era sopraggiunta in un momento in cui il procedimento di sanatoria già precedentemente instaurato non aveva ancora avuto definizione, né in senso positivo né in senso negativo, da parte del Comune stesso.
Né vale a rendere legittima l’impugnata ordinanza, nel caso in parola, l’avere il Comune precisato che talune precedenti richieste di integrazione della pratica di sanatoria rivolte alla ricorrente erano, a suo dire, rimaste inevase, e l’aver dato atto di ciò nelle premesse dell’ordinanza impugnata; ciò, giustappunto, in quanto il procedimento di sanatoria deve essere definito con provvedimento espresso, prima di poter procedere all’irrogazione di provvedimenti sanzionatori.
Trattasi, come si è detto, di principio ormai pacifico, e come tale affermato anche dal Consiglio di Stato, con recente decisione della sez. IV, n. 2259 del 15 maggio 2008: “la presentazione dell’istanza [di sanatoria] blocca, fino alla sua decisione, l’‘iter’ procedimentale per provvedere alla demolizione dei manufatti”.

Il Consiglio di Stato ribadisce la “ultrattività” dei piani attuativi scaduti

D.S.

In una recente pronuncia, il Consiglio di Stato (Sez. V, 30 aprile 2009 n. 2768) si è nuovamente soffermato sul significato del principio generale contenuto nell’art. 17, primo comma, della legge n. 1150 del 1942 (per il quale, "decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso") ribadendo l’orientamento (ex plurimis, Sez. IV, 4 dicembre 2007 n. 6170, 28 luglio 2005, n. 4018, 02 giugno 2000, n. 3172T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 24 gennaio 2006, n. 508T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 27 aprile 2005, n. 638, T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 29 settembre 2004, n. 2718 e T.A.R. Campania Salerno, 07 agosto 1997, n. 488) secondo cui, fino all’approvazione di un nuovo strumento attuativo che disciplini le aree in essi incluse, deve riconoscersi efficacia “ultrattiva” ai piani attuativi scaduti.
La Quinta Sezione ha infatti osservato, con riferimento alle convenzioni di lottizzazione (correttamente assimilate ai piani particolareggiati disciplinati dalla c.d. legge urbanistica), che l’imposizione del termine di attuazione va inteso nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non possono essere attuate ai sensi di legge oltre un certo termine, scaduto il quale l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova convenzione di lottizzazione. Ma, fintantoché tale potere non viene esercitato, l’assetto urbanistico dell’area rimane definito nei termini di cui alla convenzione di lottizzazione o del diverso strumento attuativo. Ciò, sull’assunto che il richiamato art. 17 si ispira al principio secondo cui, mentre le previsioni del piano regolatore rientrano in una prospettiva dinamica della utilizzazione dei suoli (e determinano ciò che è consentito e ciò che è vietato nel territorio comunale sotto il profilo urbanistico ed edilizio, con la devoluzione al piano attuativo delle determinazioni sulle specifiche conformazioni delle proprietà), le previsioni dello strumento attuativo hanno carattere di tendenziale stabilità (perché specificano in dettaglio le consentite modifiche del territorio, in una prospettiva in cui l’attuazione del piano esecutivo esaurisce la fase della pianificazione, determina l’assetto definitivo della parte del territorio in considerazione e inserisce gli edifici in un contesto compiutamente definito).
Ne consegue che il termine di efficacia degli strumenti di pianificazione attuativa opera rispetto alle (eventuali) sole disposizioni di contenuto espropriativo e non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano che rimangono pienamente operanti e vincolanti senza limiti di tempo, fino all'eventuale approvazione di un nuovo strumento urbanistico attuativo.
La tesi sulla ultrattività in parola, ad opinione di chi scrive, è senz’altro condivisibile. Ciò,  in primis, per la esigenza di evitare che, a fronte di un programma urbanistico in parte realizzato, i nuovi interventi edilizi non si coordinino con il disegno urbanistico sino ad allora seguito, così alterandolo.

La denuncia di inizio attività (DIA) è atto privato contro il quale il terzo leso può promuovere azione atipica di accertamento sulla inesistenza dei suoi presupposti legittimanti

D.S.
Pronunciandosi su un tema, oggetto di notevoli contrasti giurisprudenziali, il Consiglio di Stato (IV Sezione, 9 febbraio 2009, n. 717) ha di recente sostenuto che la DIA deve essere qualificata non come provvedimento amministrativo, ma come atto privato.
Secondo il Collegio, ciò si evince dall’art. 19 della L. 241/1990 ss.mm.ii. che, in sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione, ha introdotto un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private.
A conforto di detta tesi, il giudice amministrativo ha richiamato poi la disciplina del silenzio-assenso, chiarendo che, se effettivamente con la DIA si fosse inteso individuare un atto destinato ad avviare un procedimento da concludere con un provvedimento di accoglimento per silentium, allora non avrebbe senso la scelta del legislatore di disciplinare gli istituti della DIA e del silenzio-assenso in due differenti norme (gli artt. 19 e 20 della richiamata L. 241/1990). Vero è – secondo il Consiglio di Stato – che con esse si è inteso attribuire agli stessi una diversa funzione.
Assunto che la DIA non è un provvedimento a formazione tacita, il Collegio si è dunque soffermato sulle problematiche legate alla tutela da accordare ai terzi lesi dalla DIA, atteso che la natura privata della DIA rende inammissibile per il terzo l'esperibilità dell'ordinario giudizio impugnatorio.
Seguendo un percorso logico argomentativo, che ad opinione di chi scrive può essere condiviso, il Consiglio di Stato ha concluso per l’ammissibilità di un’azione – sottoposta allo stesso termine di decadenza di sessanta giorni, previsto per il diverso caso dell’azione di annullamento esperibile avverso il permesso di costruire -  volta a far accertare la insussistenza dei presupposti per il legittimo esercizio dell’attività denunciata: spetterà poi all’Amministrazione ottemperare alla sentenza di accertamento ordinando la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato.
Al fine di far convivere le peculiarità dell’atto privato con la tutela dei diritti dei terzi, la sentenza in commento ha pertanto ammesso, prescindendo da una espressa previsione normativa, l’esercizio di un potere di mero accertamento (sulla esperibilità di detto rimedio si erano in precedenza già pronunciati, ammettendolo, T.A.R. Liguria, 22.1.2003, n. 113 e T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 14 maggio 2008, n. 111). Infatti, secondo il Consiglio di Stato, detto potere è comunque connaturato al concetto stesso di giurisdizione, sicché si può dire che non sussista giurisdizione e potere giurisdizionale se l’organo decidente non possa quanto meno accertare quale sia il corretto assetto giuridico di un determinato rapporto.
Sono state pertanto affrontate dal Consiglio di Stato, per la prima volta a 360°, le problematiche legate alla qualificazione giuridica della DIA. Ma, data la complessità delle tematiche trattate, sin qui caratterizzate dalla non univocità delle soluzioni prospettate in dottrina e giurisprudenza, appare arduo poter affermare, senza il rischio di essere smentiti, che si tratti di una sentenza destinata a fare scuola. Non ci resta che aspettare e vedere come si orienteranno i giudici amministrativi allorché saranno chiamati a decidere sulle domande che saranno proposte dai terzi danneggiati per far accertare l’assenza dei presupposti legittimanti l’attività oggetto di denuncia.

La D.I.A. edilizia è equiparata al permesso di costruire quanto all’impugnazione

G.A.

Nella querelle giurisprudenziale in merito alla natura del titolo abilitativo edilizio formatosi a seguito di denuncia di inizio attività, ed ai rimedi esperibili avverso di esso, il TAR Toscana pronuncia a favore della tesi della autonoma impugnabilità.
Con sentenza della III Sezione del 16.3.2009, n. 428 il Giudice Amministrativo toscano ha affermato che la d.i.a. rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine dalla presentazione della denuncia. Col decorso del termine si forma un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla conoscenza del perfezionamento della d.i.a..
Pertanto il ricorso avverso la stessa ha ad oggetto l’assentibilità o meno dell’intervento, cosicché il predetto titolo abilitativo è equiparato al permesso di costruire quanto all’impugnazione.
In questa sezione del sito può leggersi l’opposta ricostruzione della materia (la natura privata della DIA rende inammissibile per il terzo l’esperibilità dell’ordinario giudizio impugnatorio) offerta dalla di poco precedente decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 717/2009.

È perentorio il termine per l’esercizio del potere inibitorio dei lavori oggetto di D.I.A.

G.A.
Trascorso inutilmente il termine entro il quale la p.a. potrebbe inibire l’attività edilizia soggetta a denuncia di inizio attività  – venti giorni ex art. 84, comma 5,  L.R.T. n. 1/2005, dalla presentazione della D.I.A. o delle integrazioni eventualmente richieste -, il titolo abilitativo si perfeziona per silentium, ed in capo agli uffici residua l’esercizio dei soli poteri di autotutela e sanzionatorio.
Lo ricorda la III Sezione del TAR Toscana con sentenza 16.3.2009, n. 430.
Il potere inibitorio previsto dall’art.84, comma 5, della L.R.T. n.1/2005 può essere esercitato entro il termine perentorio di venti giorni ivi previsto; invero alla scadenza di detto termine matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella d.i.a., cosicché il Comune, anche se riscontri un contrasto del progetto rispetto alle statuizioni delle norme urbanistiche, non può più diffidare dall’eseguire i lavori, ma deve avviare uno specifico procedimento di autotutela preordinato all’annullamento dell’autorizzazione implicita; una volta caducata quest’ultima, qualora i lavori siano già stati eseguiti in tutto o in parte, l’Amministrazione adotterà l’idoneo provvedimento sanzionatorio, previsto dall’art.84, comma 7, della L.R.T. n.1/2005, di tipo ripristinatorio o pecuniario, secondo i casi, in base alla normativa disciplinante la repressione degli abusi edilizi.